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Partiamo dalle basi: è assolutamente normale avere delle opinioni diverse. Anzi, la presenza di diverse prospettive è un elemento fondamentale della nostra società, sotto i più diversi punti di vista. Ben vengano, quindi, i confronti sui più diversi temi, purché fondati. In che senso? Semplice: prima di esporre un’opinione su un dato argomento, prima di dire “non sono d’accordo”, prima di dire “non è come dici tu, è come dico io” è necessario accertarsi di avere le conoscenze necessarie per poter dire quella cosa con un minimo di sicurezza, con uno straccio di prova. Insomma, per non fare la figura del fesso.

Purtroppo non è sempre così. E per questo abbiamo i terrapiattisti, che contro ogni evidenza scientifica continuano ostinatamente a essere in disaccordo con la sfericità del nostro Pianeta; per questo abbiamo le persone che per mesi e mesi non hanno creduto al Covid, spesso fino al momento in cui non sono finite in ospedale proprio per un’infezione da Coronavirus; per questo abbiamo i negazionisti, e le lista potrebbe continuare purtroppo ancora per parecchio.

Il problema è che in molti casi si esprime il proprio disaccordo su cose che non sono affatto opinabili. La Terra è tonda, due più due fa quattro: su cose come queste non è possibile essere in disaccordo, per il semplice fatto che non ci possono essere dubbi, è così e basta.

Perché ti sto dicendo questo? Perché mi sono imbattuto più spesso di quanto avrei desiderato in persone che non credono nel marketing, o meglio, che di fronte a delle leggi del marketing chiare e limpide hanno il coraggio di dire “secondo me non funziona così”. E occhio, non parlo di studiosi di marketing, non parlo degli ultimi premi Nobel per l’economia e delle loro teorie rivoluzionarie. Parlo di persone che hanno una visione del tutto offuscata, parziale e in buona parte – se non del tutto – errata del marketing.

Una cosa di questo tipo mi è successa pochi giorni fa. Forse hai già letto l’articolo nel quale, due settimane orsono, parlavo del paradosso del non trovare tempo per lavorare al proprio personal branding. Non lo hai letto? Nessun problema, ti faccio un riassunto velocissimo.

Qualche tempo fa ho organizzato un laboratorio pratico di personal branding, del tutto gratuito, al quale si sono iscritte poco più di 40 persone. Di queste, 26 sono arrivate fino alla fine del corso, che si è concluso dopo ben 4 mesi di esercizi. Non mi sono meravigliato del tasso di abbandono: il corso era gratuito, quindi non c’era la leva del prezzo (ormai ho pagato) a tenere i partecipanti in riga, e a questo va aggiunto che io stesso avevo deciso di eliminare ogni partecipante che si presentasse a una nuova lezione senza avere completato gli esercizi dati all’appuntamento precedente.

A meravigliarmi è stata piuttosto la scusa che in molti hanno usato per lasciare il corso, dicendo di non avere tempo. Non hai tempo? Non hai tempo per investire nel personal branding, ovvero nell’attività effettivamente più importante per la tua attività di consulente, di imprenditore, di free lance, o in generale per la tua carriera? Strano. Non hai tempo per imparare a posizionarti meglio, a verticalizzarti, ad avere una comunicazione coerente, a trovare clienti migliori e a guadagnare di più? Stranissimo.

Ma c’è di peggio. Alcune delle stesse persone che avevano abbandonato il corso dicendo di non avere tempo, nei giorni successivi, avevano comunque perso minuti e ore preziose per creare e pubblicare dei contenuti sui social network e sui propri blog, facendo gli stessi errori di prima: parlo soprattutto di contenuti non coerenti con il proprio brand, diretti al pubblico sbagliato, e via dicendo. Fatemi capire: questi non avevano il tempo per migliorare in modo efficace, rapido e gratuito il proprio personal brand, ma lo trovavano comunque per creare a promuovere dei contenuti errati, inutili se non persino dannosi?

Ecco, questo secondo me era un paradosso. E ho spiegato questo paradosso sia sulle pagine del mio sito web, sia su quelle di LinkedIn. E indovinate un po? Qualcuno mi ha detto di non essere d’accordo, e più precisamente di non essere d’accordo con il personal branding, il quale a suo dire “non servirebbe a nulla”. La tesi usata è praticamente questa: io sono un professionista, ho un buon numero di clienti, non ho investito sul personal branding, e quindi il personal branding non serve.

Vuoi sapere una cosa? Nel marketing la tua opinione personale non conta. Tu sei solo tu, vali uno: il marketing poggia invece su leggi e principi derivanti da test e attività di marketing fatte e testate su migliaia e migliaia di persone e aziende, in modo scientifico. E a dimostrare l’efficacia delle attività di marketing, tra le quali rientra anche il personal branding, ci sono i numeri.

Per questo la tua opinione, qualunque essa essa sia, non conta. Non solo perché – molto probabilmente, e senza offesa alcuna – non hai alle spalle anni di studio che ti permettono di mettere in discussione le leggi del marketing. Ma anche perché sei solo una goccia in un oceano estremamente più vasto.

Va peraltro detto che chi dice che non è d’accordo con l’efficacia del personal branding non è in disaccordo con me. Non si tratta di qualcosa di personale: quella persona è infatti in disaccordo con i principi del marketing moderno, e quindi con Philip Kotler, con Seth Godin e con tutta la platea di studiosi, ricercatori e marketer che mette in pratica quegli stessi principi.

E perché accade questo? Perché delle persone arrivano a dire così, dal nulla, di non essere d’accordo con il personal branding o con il marketing in generale? In parte, perché c’è una fetta di popolazione, per fortuna molto ristretta – ma non abbastanza – che è in disaccordo a priori, in modo cieco e stupido, come avviene nel caso di chi pensa che la Terra abbia la forma di una piastrella.

In parte succede invece perché di marketing si parla spesso senza averne le competenze adatte. Una fetta piuttosto larga di persone finiscono quindi per leggere consigli sul marketing scritti da chi, in realtà, non avrebbe né le competenze né l’esperienza sufficienti per dare un suggerimento efficace nemmeno a un bambino che gestisce per gioco un chiosco di limonata fuori casa.

Quando ci si informa sul marketing, quando si cercano delle strategie da applicare al proprio business, è sempre dunque bene individuare un esperto reale, che abbia le carte in regola per parlare di un argomento così importante. Certo, in mezzo al mare magnum delle informazioni che la rete mette a nostra disposizione non è facile individuare le fonti migliori, ma nemmeno impossibile. In questo modo si potrà iniziare a capire che il marketing non è fatto di supposizioni. Kotler è riuscito a riassumere il significato di marketing in modo quanto mai semplice ed efficace: “Il marketing consiste nell’individuazione e nel soddisfacimento dei bisogni umani e sociali”. La Treccani, da parte sua, ci dice che il marketing è “il complesso dei metodi atti a collocare con il massimo profitto i prodotti in un dato mercato attraverso la scelta e la pianificazione delle politiche più opportune di prodotto, di prezzo, di distribuzione, di comunicazione, dopo aver individuato, attraverso analisi di mercato, i bisogni dei consumatori attuali e potenziali”.

E sì, poi arriva quello che dice “non sono d’accordo”. Lo ripeto: nel marketing la tua opinione non conta, come non conterebbe in medicina, in fisica, in chimica e in matematica.

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