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Molto spesso mi capita di imbattermi in supposti esperti di web marketing che, pur conoscendo piuttosto bene i meccanismi della rete, non conoscono nulla, o conoscono molto poco, del marketing, ovvero di quel particolare ramo dell’economia che si occupa dell’interazione che avviene tra imprese e clienti. Il problema è che, quando si inizia a fare sul serio, questa mancanza si fa sentire, si fa sentire parecchio. Puoi conoscere i fondamentali principi della SEO, puoi sapere come funzionano gli annunci sponsorizzati su Google, puoi muoverti con una certa disinvoltura sui social network, ma se non sai come funziona il mercato, cos’è un piano di marketing, cos’è un audit, cos’è un’analisi SWOT e via dicendo, purtroppo stai costruendo un castello su fondamenta molto fragili. E sai come si traduce tutto questo? 

Semplice: in un probabile spreco di tempo e di soldi. Ci sono infatti “esperti” e consulenti di marketing che non possiedono le basi teoriche sufficienti per poter mettere in campo delle strategie efficaci, e che procedono a tentoni, a tentativi, come se il marketing fosse nato ieri. Certo, ci sta fare degli esperimenti, ma bisogna avere ben chiaro in mente che il marketing è nato più di mezzo secolo fa: Pallavicini pose le basi del marketing moderno negli anni Cinquanta del secolo scorso. Ma del modo di promuovere un’azienda, un prodotto, un servizio oppure un brand si parla da molto più tempo ancora, a sottolineare ulteriormente che no, nella maggior parte dei casi non serve inventare nulla dal nulla. Prima di noi tantissime altre persone hanno infatti studiato le imprese, i consumatori e il mercato, e dunque non dobbiamo mai iniziare da una tabula rasa. Chi lo fa, molto semplicemente, non possiede le necessarie competenze per occuparsi di marketing a livello professionale. Ti sembro troppo duro? Dimmi un po’: per quale motivo un’azienda dovrebbe pagare un consulente di web marketing che conosce il web, ma non il marketing?

Per sottolineare il fatto che il mondo del marketing è ben normato e ben costruito, oggi voglio parlarti di un modelli nato più di un secolo fa. Certo, allora non si parlava di marketing: si parlava di pubblicità, più semplicemente. Dobbiamo andare indietro con la mente fino al 1898, anno in cui Elias St. Elmo Lewis propose il modello AIDA, ovvero un modello teorico del funzionamento della pubblicità. Hai presente come sono strutturate le pubblicità televisive? Hai presente la struttura di un buon post pubblicitario, o di un manifesto? Ecco, il modello AIDA va a riassumere quelli che sono i punti fondamentali che qualsiasi strategia pubblicitaria dovrebbe tenere in considerazione e dunque affrontare. Parliamo delle fasi di Attention, Interest, Desire e Action, ovvero di Attenzione, Interesse, Desiderio e Azione, termini che vanno a formare per l’appunto l’acronimo AIDA.

Se sei nuovo al mondo del marketing, molto probabilmente ti stai domandando cosa diavolo è un modello teorico, e a cosa possa servirti. Tu, che con qualche click puoi impostare una sponsorizzata o realizzare un banner, cosa te ne potrai mai fare di un “modello”? Devi quindi sapere che i modelli teorici servono per rendere chiari i processi, così da poterli migliorare. In altre parole, un modello teorico del funzionamento della pubblicità ha il compito di spiegare nel dettaglio come agisce sul pubblico una réclame, così da poter capire dove intervenire per renderla più efficace.

Fin qui è tutto chiaro, no? Ebbene, come abbiamo detto, il modello AIDA è stato formulato per la prima volta sul finire del diciannovesimo secolo. Per capire di che epoca stiamo parlando, basti sottolineare che in quell’anno nasceva la Pepsi, che nel 1898 Émile Zola pubblicava il suo famosissimo editoriale in difesa di Alfred Dreyfus (sì, quel testo pieno di J’accuse) e che nel luglio dello stesso anno Guglielmo Marconi depositava il brevetto della Radio. Ecco, in quell’epoca così lontana, Lewis cercava di spiegare il funzionamento della pubblicità con il modello AIDA.

Ma a cosa pensava quello stratega pubblicitario nel comporre questo modello? Ebbene, il tipo di pubblicità al quale guardava Lewis era essenzialmente quello delle pubblicità telefoniche, finalizzate alla vendita praticamente diretta. Negli anni successivi e soprattutto durante la seconda metà del Novecento, però, il suo modello teorico è stato adottato – e anche criticato, bada bene – dal mondo del marketing nel suo complesso.

Cos’è, quindi, questo modello AIDA? Tutto parte dal presupposto secondo il quale un brand viene comunicato e quindi promosso attraverso dei messaggi pubblicitari, i quali, per essere efficaci – e quindi per portare alla vendita – dovrebbero mirare a quattro precisi obiettivi, ovvero per l’appunto Attenzione, Interesse, Desiderio e Azione, passaggi che uno dopo l’altro conducono il consumatore all’acquisto.

 

Vediamo nello specifico le peculiarità di ogni singolo step:

 

Attenzione: ecco il primo passaggio del modello AIDA, quello che potremmo anche chiamare – prendendo spunto da altri modelli – fase di Awareness. Qui, dunque, l’obiettivo è attirare l’attenzione del pubblico: non si tratta di un passaggio informativo, quanto invece di un puro richiamo, che può essere concretizzato nei modi più differenti. Potrebbero essere i colori squillanti di un manifesto pubblicitario, l’aumento del volume all’inizio di uno spot pubblicitario radiofonico, le dimensioni preponderanti di un banner pubblicitario online, insomma, qualsiasi cosa che possa aumentare le probabilità di attirare l’attenzione del pubblico. Vista la continua esposizione del pubblico a messaggi pubblicitari di ogni genere, il compito di questa prima fase non è semplice come potrebbe sembrare.

Interesse: eccoci al secondo step tra quelli previsti dal modello AIDA. Abbiamo già raccolto l’attenzione del pubblico, e quindi sappiamo che ci sta guardando o ascoltando. Ora dobbiamo fare in modo da non sprecare questo momento, presentando i vantaggi di quanto stiamo promuovendo, enfatizzando i benefici dell’acquisto per suscitare interesse e per mantenerlo alto nel tempo. Come ci si muove in questa fase? Da una parte, si forniscono per l’appunto le informazioni fondamentali sul prodotto o sul servizio promosso, e dall’altra si raccolgono, se possibile, informazioni sul pubblico, per comprenderne il comportamento e gli obiettivi.

Desiderio: siamo ormai in una fase inoltrata del percorso del cliente. Qui, infatti, la preferenza per il servizio o per il prodotto presentato risulta chiara, fino a rendere esplicita la volontà di procedere verso l’acquisto: si è a un passo dalla vittoria, ma non si è ancora arrivati. Per essere certi di non farsi scappare il cliente all’ultimo momento, è necessario esaltare i vantaggi del proprio prodotto rispetto ai quelli della concorrenza. Perché sì, ormai è chiaro che il potenziale cliente desidera acquistare quel preciso prodotto (uno smartphone, un paio di scarpe, un tosaerba) ma non è ancora detto che finisca per comprare quello del nostro brand.

Azione: siamo arrivati al punto clou, ovvero all’acquisto. Qui il messaggio pubblicitario lascia da parte ogni maschera, e sottolinea esplicitamente la possibilità di acquisto: stiamo parlando, di fatto, del compito assolto dalle call to action, le quali possono essere presentate in modi differenti, più meno efficaci. Si può semplicemente invitare il cliente all’acquisto, o si può fare di più, ponendo per esempio un limite temporale (“Acquista le nostre nuove pagaie: solo oggi avrai uno sconto del 30%!”).

Chi ha già studiato un po’ di marketing ha capito che, con il modello AIDA, ci troviamo di fatto di fronte a uno dei tanti funnel del marketing, o meglio, a uno dei primissimi funnel del mondo della pubblicità. A livello del primo step, infatti, abbiamo a che fare con un pubblico molto vasto, che va via via restringendosi verso l’ultimo passaggio, ovvero quello dell’acquisto. Sta all’esperto di marketing fare in modo che il minor numero di persone possibile fuoriesca dal funnel tra uno step e l’altro.

Come anticipato all’inizio, il modello AIDA è un modello decisamente datato, criticato a più riprese nel corso dei decenni. Eppure si tratta di un primo importante modello di riferimento, ancora oggi utilizzato all’interno della comunicazione integrata di marketing, per controllare che tutto sia impostato al meglio per favorire l’acquisto da parte dei clienti. Solitamente il modello AIDA viene tacciato di eccessiva semplicità, essendo basato su uno schema – per l’appunto semplicistico – che contrappone a uno stimolo una risposta, all’interno di un flusso lineare che, oggi, appare fin troppo ottimistico. Eppure è proprio la semplicità e la chiarezza del modello AIDA che lo rende applicabile praticamente ovunque nel mondo del marketing.

E se è indubbio che il modello AIDA è molto semplice, è anche vero che è stato usato come base per costruire dei modelli più complessi e più strutturati, con un numero maggiore di passaggi. Parliamo per esempio del modello AIDAS, della formula DAGMAR o del modello Hierarchy of Effects. Di questi, però, parleremo un’altra volta.

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