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Quando ci troviamo a girovagare tra gli scaffali reali o virtuali, cosa indirizza le nostre scelte? Come distribuiamo le nostre preferenze e cosa guida la nostra percezione di un brand? Tutto ciò che facciamo come consumatori è libero o guidato? Anche se siamo consulenti marketing, a risultare decisivi sono emozioni e funzioni cerebrali.

A queste e altre domande risponde, dal 2002, il neuromarketing. Termine coniato dal tedesco Ale Smidts, professore di marketing alla School of Management di Rotterdam. L’obiettivo di Smidts era di riunire in una sola parola l’azione combinata di neurologia, psicologia e marketing.

Una neuroscienza che indaga il modo in cui il nostro cervello decodifica gli input esterni quali ad esempio parole, colori, suoni e finanche profumi. Da questa decodifica deriva una risposta. Si struttura, cioè, il comportamento del consumatore e il suo processo decisionale.

Il nostro sistema nervoso è una macchina straordinaria. Una delle sue attività principali consiste nel mettere insieme stimoli differenti provenienti da mezzi diversi, come sostiene Franco Gallucci, uno dei massimi esperti italiani in materia. Ed è proprio dallo studio di queste funzioni, continua il professore, che è possibile incrementare le performance di ogni attività di comunicazione.

Sei riuscito a cogliere la potenzialità di tutto questo in riferimento al marketing? Immagina una campagna pubblicitaria. Prima di scegliere il canale da utilizzare, sia esso digitale o anche tradizionale, è necessario creare i contenuti. Per creare questi contenuti saranno scelte le parole, individuata un’impaginazione grafica con layout e colori, claim, etc.

Il neuromarketing, dunque, serve a ridurre al minimo il rischio che tutti questi sforzi vengano ignorati e soprattutto non compresi. Nessuno di noi, infatti, acquista ciò che non capisce o che confonde i nostri processi nervosi. Questa disciplina, invece, basandosi sullo studio delle nostre risposte celebrali consente di sollecitare il giusto meccanismo psicologico a ogni aspetto, ogni azione di marketing. Motivando, inoltre, l’efficacia delle sue tecniche perché collegate ai bisogni e i desideri inespressi dei consumatori. Esigenze che tutti noi abbiamo. Spetta al marketing giocare d’anticipo e costruire strategie in grado di soddisfarle.

Concetti, questi, che si sono guadagnati, nel tempo, grande rilevanza anche per quanto riguarda il nostro comportamento nel mondo digitale. A questo aspetto specifico, però, dedicherò un paragrafo più avanti.

Come utilizzare il neuromarketing?

Se stai pensando che tutto quello che ti ho raccontato fin qui costituisca una riflessione fine a se stessa, beh… lasciatelo dire: sei un bel pò fuori strada.

Il neuromarketing è vivo e permea ogni aspetto della nostra vita di consumatori. Vediamo subito alcuni esempi pratici. Ti sei mai chiesto come mai un prodotto dal costo di 2 euro venga, in realtà, venduto a 1,95 euro? Che fine fa l’euro mancante sui vari 49/99/499 euro e così via? Nei negozi, riflettendoci, nulla costa 3, 5 o 20 euro, non esistono prezzi tondi.

Questa pratica ha a che fare con la psicologia dell’acquisto. Quei prezzi rientrano nella modalità “odd-even pricing”: quantità imprecise che sono percepite, dai consumatori, come molto più basse rispetto a quello che realmente sono.

Nessun venditore ci presenterà mai l’ultimo modello di smartphone partendo dal prezzo. Inizierà, invece, descrivendoci le sue aggiornatissime funzionalità, la possibilità di scattare foto ultra definite e le sue performance elevate. Tutte cose alle quali il nostro inconscio griderà: sì, lo voglio!

Solo da ultimo arriverà il colpo finale, quello del prezzo. Questa tecnica definita “un piede nella porta” indica il pattern o schema, attraverso il quale condurre il potenziale acquirente. Occorre iniziare a risultare coinvolgenti rispetto a funzioni e servizi, solo così, dopo, avremo maggiori possibilità di ottenere il coinvolgimento più impegnativo di tutti, quello dell’acquisto.

Continuiamo con gli esempi pratici soffermandoci sul modo in cui tu, come consulente, parli ai tuoi clienti. Sai che la velocità con la quale scandisci le parole con cui presenti un preventivo, può fare la differenza? 

Ecco cosa dicono le ricerche: se parliamo molto velocemente, non diamo la possibilità al nostro interlocutore di riflettere, opporre delle contraddizioni al nostro ragionamento. Al contrario, parlando molto lentamente, scandendo ogni singola parola, si darà l’opportunità a chi ci ascolta ed è già in accordo con noi, di elaborare un ulteriore convincimento.

So che queste considerazioni potranno sembrarti banali, ma in realtà hanno alla base solidi studi e connessioni alle teorie motivazionali. Tutti noi possiamo imparare a utilizzarle a nostro vantaggio. Il segreto del successo non è in una formula, però, ma nel saper dosare l’approccio giusto alla giusta condizione emotiva del ricevente. E quello non è affatto semplice.

Il neuro web marketing per i siti web

Negli ultimi anni, si è parlato tantissimo di come migliorare la performance dei siti, non solo e-commerce, ottimizzando la user experience (spesso indicata UX) degli utenti.

Ma cosa significa, esattamente, ottimizzare la user experience? Vuol dire che ogni volta che ci approcciamo a un bene o a un servizio, come consumatori, abbiamo delle aspettative. Immaginiamo di navigare su un sito; ci aspettiamo che esso sia esteticamente gradevole, d’accordo, ma, soprattutto, in grado di facilitare, rendendole pratiche, le attività per le quali lo utilizziamo. Una prenotazione, l’iscrizione a una newsletter o la lettura di un articolo, tutte attività eseguibili on line, e per le quali occorre garantire la più alta accessibilità agli utenti.

Detto in altre parole: un sito deve assicurare che la navigazione tra le diverse pagine risulti semplice, e che io, come utilizzatore, debba compiere il minor numero di passaggi possibili per trovare quello che cerco.

Proprio per questo, il neuromarketing ha grande rilevanza sul web. Qui si concentra sull’aspetto visivo della comunicazione studiando ogni dettaglio e come ciò stimoli, durante l’utilizzo dei mezzi digitali, una precisa risposta dell’utente.

Ed è così che il neuro web marketing chiama a sostegno una branca delle neuroscienze di ancora più recente introduzione: il neuro web design. Un mix di neuroscienze e tecnologie che cerca di tradurre ciò che motiva le scelte dei consumatori su internet.

Le analisi condotte, ad esempio, hanno evidenziato che preferiamo che il motore di ricerca per effettuare una prenotazione sia posizionato a sinistra dell’homepage. Quando, invece, viene collocato sotto l’immagine dell’homepage, l’utente ne risulta distratto, arrivando anche a fissare lo schermo per ben 47 volte prima di localizzare il motore di prenotazione!

Gli strumenti del neuromarketing

Resta da chiarire un’ultima cosa. Come fanno le neuroscienze a conoscere tutte queste cose sui nostri comportamenti, nonché sugli aspetti inconsci della nostra psiche? Molto semplice, ci studiano. E gli strumenti a disposizione sono di diverso tipo. Diamo una rapida occhiata a quelli più importanti.

Gli scienziati delle neuroscienze sono in grado di scattare una vera e propria foto al nostro cervello in attività. Lo fanno servendosi di tre strumenti: l’elettroencefalografia (EEG-Biofeedback), la risonanza magnetica funzionale (FMRI, Functional Magnetic Resonance Imaging) e l’Eye Tracking.

L’EEG, in genere, è utilizzato in unione con l’Eye Tracking. Il primo strumento è in grado di rilevare il movimento degli impulsi elettrici tra neuroni nell’area più esterna del cervello (quella corticale). In pratica, riesce a registrare emozioni quali rabbia, eccitazione e dolore. L’Eye Tracking, al contrario, tiene nota dei movimenti dei nostri occhi, consentendo di collegare le nostre risposte cognitive a quello che stiamo guardando in quel momento.

La risonanza magnetica funzionale, invece, ha un campo di applicazione molto vasto perché permette di valutare il funzionamento di qualsiasi organo. Nel neuromarketing, serve a leggere l’ossigenazione del sangue nelle varie regioni del cervello in funzione dell’attività neuronale. Quello che vediamo ci piace? La risposta è nella nostra attività cerebrale.

Esistono ancora altri tipi di strumenti: sensori in grado di rilevare la frequenza del nostro battito cardiaco e quella respiratoria, come i cambiamenti che avvengono nella pressione sanguigna.

L’idea che da tutto ciò si ricava è che non siamo macchine pensanti che si emozionano, ma macchine emotive che pensano, come sostiene anche Andrea Saletti, un altro degli studiosi più importanti dell’argomento.

Non mi resta che chiederti che ne pensi del neuromarketing. Finora, avevi compreso i percorsi nei quali noi consumatori restiamo coinvolti?

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