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L’anno di “Wannabe”, delle Spice Girls. O di “Quit Playing Games (With My Heart)” dei Backstreet Boys. Ma anche l’anno di Everlong, dei Foo Fighters. O ancora, l’anno dell’inizio del secondo mandato di Bill Clinton, dell’annuncio della clonazione della pecora Dolly, del primo episodio di Buffy l’ammazzavampiri, della morte di Madre Teresa di Calcutta e di Lady Diana, del premio Nobel per la letteratura a Dario Fo. Ad alcuni sembrerà ieri, ad altri sembrerà un’altra era geologica, altri ancora… beh, altri ancora semplicemente non c’erano, o se c’erano, dormivano.

In quell’anno vicino o lontano, ma in ogni caso 24 anni or sono, Tom Peters scriveva il famoso articolo intitolato “The Brand Called You”. Il concetto di personal branding iniziò allora a diventare via via sempre più popolare. Peters scrisse che “indipendentemente dall’età, dalla posizione, dall’attività in cui ci troviamo, tutti noi abbiamo bisogno di capire l’importanza del branding. Siamo amministratori delegati delle nostre società: Io Inc.” aggiungendo che “per essere in affari oggi, il nostro compito più importante è essere head marketer per il marchio chiamato Tu”.

Oggi tutto questo ci sembra scontato. O meglio, oggi tutto questo sembra scontato a tutte quelle persone che hanno imparato cosa è il personal branding e perché é importante. E sono tante. Allora, alla fine degli anni Novanta, quando per dire i capocannonieri della serie A erano stati Filippo Inzaghi, Vincenzo Montella, Abel Balbo, Sandro Tovalieri e Roberto Mancini, quelle parole avevano una portata piuttosto rivoluzionaria, indicavano un nuovo modo di intendere e di gestire la propria reputazione professionale.

Oggi si parla quotidianamente di personal brand, ci sono tanti libri – tra i quali il mio – che spiegano tecniche, strategie e trucchi per fare personal branding. Ma cosa è diventato oggi il personal branding? Per molti è, semplicemente, l’attività che ci permette di creare un’immagine e una reputazione efficaci al fine di raggiungere i propri obiettivi professionali. Per altri è la ragione per cui un cliente, un partner o un datore di lavoro sceglie (o non sceglie) te al posto di un altro. Per altri ancora il personal branding è quello che pensano di te tutte quelle persone che non ti conoscono a livello personale, al di là dell’immagine professionale. Per altri è un argomento di cui sono stufi di sentir parlare, pur non avendo mai letto un libro sull’argomento, pur non avendo mai messo in pratica una vera strategia di personal branding, pur non avendo capito effettivamente cosa può fare per loro questa attività (a tutti loro dico: per quanto possiate disprezzare preventivamente l’argomento, anche voi avete un personal brand, in quanto tutto quello che dite e che fate, e le modalità in cui dite e fate, costituiscono un marchio. Non lo state curando? Allora molto probabilmente è un marchio che vi rallenta, che compromette la vostra carriera e il vostro business).

Insomma, il personal branding può essere definito in vari modi, ma è pur sempre una cosa sola e unica. Ma una cosa è certa: il personal branding di oggi non è quello del 1997. Ci sono infatti diverse differenze da prendere in considerazione.

Prima di tutto il personal brand è diventato molto, molto più digitale di quanto poteva essere alla fine degli anni Novanta. Peters parlò di personal brand nel 1997, 7 anni prima rispetto alla fondazione di Facebook, 6 anni prima di MySpace, 8 anni prima di YouTube, 7 anni prima di Gmail. Insomma, suvvia, nel 1995 i nostri pc – parlo per chi ne aveva uno – giravano con Microsoft Windows 95. Quanto poteva essere digitale il concetto di personal branding? A quel tempo nessuno avrebbe potuto immaginare che, di lì a poco, sarebbero bastati alcuni nanosecondi per avere un’immagine abbastanza completa di una persona semplicemente cercando il suo nome su LinkedIn o su Facebook. All’epoca dell’articolo di Peters, il personal brand era fatto di interazioni in persona, di articoli su riviste cartacee, di seminari: basti pensare che il primo blog nacque proprio nel dicembre del 1997.

A cambiare è poi il numero delle persone che conoscono il personal branding e, soprattutto, il numero di persone che competono per avere l’attenzione della propria comunità di riferimento. Il pasticcere, il consulente finanziario, il virologo, il personal chef, il fisioterapista, il politico: questi professionisti, questi brand personali, competono oggi tra loro su larga scala a livello di branding così come un tempo vedevamo fare Coca Cola e Pepsi, McDonald’s e Burger King, Apple e Microsoft. Insomma, è cambiata la scala di riferimento del personal branding: se 24 anni fa praticamente nessuno pensava a questo aspetto, oggi tutti i professionisti affermati o in via di affermazione stanno investendo tempo, energie e risorse nel proprio marchio personale.

Infine, e soprattutto, l’importanza del personal branding è ora alle stelle, laddove a fine degli anni Novanta si parlava solo di una teoria stravagante di un guru del settore. L’importanza del personal branding è cresciuta ancora di più negli ultimissimi anni, con il crescere della centralità delle percezioni che abbiamo dei brand e di noi stessi, acuita in qualche modo durante il periodo della pandemia.

E quindi? E quindi è fondamentale sapere che oggi, per avere successo, è bene investire nel proprio marchio personale. Perché sì, anche e soprattutto oggi la prima impressione è quella che conta, tenendo presente che oggi nella maggior parte dei casi la prima impressione – nel mondo business – è digitale. Prima di un incontro – faccia a faccia o virtuale – nella maggior parte dei casi si andrà infatti a cercare qualche informazione sull’interlocutore, tanto più che in pochi secondi, tra Facebook, LinkedIn, siti personali e blog, è possibile farsi un’immagine abbastanza solida. Pensaci un po’: tutte – o quasi – le persone che incontri nella tua vita professionale hanno già cercato delle informazioni su di te online. Che prima impressione si sono fatti? È esattamente quello il lato di te che desideri che gli altri conoscano?

Abbiamo la possibilità concreta di prendere in mano la situazione, individuando i punti di forza che vogliamo comunicare al mondo e mettendoli immediatamente al centro. Pensiamo per esempio a quanto è facile – si fa per dire – scrivere un sommario e un riepilogo efficaci sul proprio profilo LinkedIn, in modo da avere la certezza di dare alle persone che ci conosceranno la prima impressione desiderata.

È inoltre necessario sapere che i social network possono sia migliorare un personal brand, sia peggiorarlo. E di parecchio. L’assenza di un professionista dai social network può essere interpretata come un segnale molto negativo. Allo stesso modo, la presenza gestita male su queste medesime piattaforme può portare parecchi altri danni. Pensiamo per esempio a un manager d’azienda che si lascia scappare sul proprio profilo Twitter delle considerazioni di carattere politico-sociale tutt’altro che condivisibili, o ancora, pensiamo a un consulente di marketing che sui social network si comporta in modo del tutto diverso da come si comporta di persona, dando l’impressione di portare una maschera – o persino due – così da abbassare inevitabilmente il livello di fiducia.

Infine, tra gli anni Novanta e oggi è cambiato il focus dell’attività di branding in generale. Un tempo l’attenzione era tutta concentrata su quello che veniva detto e fatto. Oggi il focus si è spostato un po’: non si pensa unicamente a quello che si deve dire, ma si pensa anche a come lo si deve dire, alle emozioni e alle sensazioni che scaturiranno da questo discorso o da quell’azione. Questo perché, alla fine dei conti, le persone del nuovo Millennio non si ricordano tanto di quello che hai detto o di quello che hai fatto, quanto invece di come l’hai detto, e di come l’hai fatto, e quindi, più semplicemente, di come le hai fatte sentire.

Il personal branding è tra noi da quasi un quarto di secolo, ed è cambiato insieme a noi, al nostro modo di sentire, di parlare e di pensare. Ormai non ci sono davvero più scuse, per nessuno: è tempo di investire nel proprio marchio personale, per far crescere il proprio business e per dare una spinta alla propria carriera professionale!

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