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Da tempo mi occupo di personal branding, per insegnare al consulente web marketing – e non solo – come costruire e gestire il migliore e il più efficace dei brand personali. Su queste stesse pagine ho parlato dei motivi che dovrebbero spingere tutti quanti a impegnarsi in questa attività, delle tecniche da seguire per raggiungere i propri obiettivi, degli errori da non fare nel costruire il proprio brand e dei vantaggi, in generale, del personal branding.

Ma si sa, sono davvero poche le cose che possiedono solamente dei lati positivi. Quasi tutto – persino la Nutella – nasconde sotto sotto, in penombra, uno o più lati negativi. E questo vale ovviamente anche per il personal branding. Anzi, a dire il vero, in questi anni ho individuato uno dopo l’altro tanti piccoli effetti negativi tipici di questa attività. 

Sia chiaro: nessuno di questi svantaggi è tale da farmi cambiare idea circa l’utilità del personal branding. Neanche lontanamente! Eppure, nel momento in cui un imprenditore, un freelance o un consulente inizia a costruire il proprio brand, è utile avere già in mente quali potrebbero essere i lati negativi di questo piano.

Costruire un personal brand, per esempio, significa proporsi come specialista in un determinato campo, in una nicchia precisa. Questo vuol dire che, nel momento in cui si vorrà aggiungere una nuova attività o spostarsi di lato, si potrebbe incontrare una certa resistenza da parte del pubblico, il quale nel tempo potrebbe aver memorizzato un’immagine ‘cristallizzata’ del brand. E ancora, chi costruisce un personal brand a regola d’arte, usando le migliori tecniche e lavorando su tutte le piattaforme possibili, potrebbe finire per essere percepito – da una fetta di pubblico particolarmente suscettibile – come troppo ‘costoso’. 

Ma diciamoci la verità: questi effetti possono definirsi come dei veri e propri svantaggi? A mio avviso no. Si può tutt’al più parlare di effetti collaterali che, se conosciuti in anticipo e dunque previsti, possono essere affrontati in modo piuttosto agevole, senza provocare danni. Eppure… eppure, oltre a questo, ho individuato un altro effetto negativo, quello che nel tempo ho iniziato a chiamare come ‘il lato oscuro del personal branding’. A cosa mi riferisco?

Prima di tutto, devo sottolineare che parlo di un livello avanzato, in cui una strategia di personal branding funziona bene, benissimo. Questo succede quando il tuo brand personale si è posizionato in modo stabile ed efficace nella mente del pubblico di riferimento, quando il tuo volto, la tua voce e la tua barba diventano ‘famosi’, quando la tua audience ti vede costantemente agli eventi più importanti per il tuo settore, quando il tuo blog riceve regolarmente tante visite, quando i tuoi podcast vengono ascoltati con entusiasmo, quando i tuoi libri vengono effettivamente comprati e letti (e nel 2019 questo è tutt’altro che scontato). Ed è allora, quando tutto sta procedendo alla perfezione, che si mostra il lato oscuro del personal branding.

Lo ripeto affinché sia chiaro: affinché questo ‘svantaggio’ possa manifestarsi, è necessario avere un personal brand estremamente forte. Fino a un momento prima, questo problema semplicemente non può esistere. Ma nel momento stesso in cui tutti vogliono lavorare con te – proprio per l’efficacia della tua strategia di personal branding – lì inizia il problema.

Sì, perché la tua audience non vuole un consulente qualsiasi. Vuole te, solo te. Esige le tue competenze, le tue tecniche, il tuo approccio, il tuo carisma, le tue soluzioni.

E non è un caso: tu lavori da mesi, da anni affinché il tuo pubblico di riferimento, al momento del bisogno, pensi direttamente a te, eclissando ogni possibile concorrente.

E qui, per l’appunto, scatta il problema, perché tu, in quanto unico soggetto dietro al tuo personal brand, non ti puoi sdoppiare. Non puoi essere nello stesso momento in due parti diverse d’Italia, non puoi mettere in pausa la tua attività per godere di una settimana di relax perché la tua azienda sei tu e quindi metteresti in pausa tutto, non solo la tua testa. Certo, potresti contare su dei collaboratori. Ma questi potrebbero fare ben poco, perché la gente conosce e vuole te, non il Mario Rossi che ti aiuta, per quanto possa essere competente, capace ed esperto.

Ecco, la gabbia del personal brand è questa, e non ci si scappa. Non stai costruendo un brand tradizionale, e quindi aziendale. Non sei come la Coca-Cola, dove basta una bottiglietta con il famosissimo logo per accontentare tutti: sei tu, con il tuo volto, con la tua autenticità, e sei insostituibile. Senza di te, il castello di carte che hai costruito per anni non può che sfracellarsi al suolo.

E quindi, cosa dovresti fare? Dovresti rinunciare a costruire il tuo personal brand? Macché! Il tuo obiettivo è esattamente quello di portare i potenziali clienti a lavorare solo e unicamente con te. Sarebbe stupido rinunciarvi perché quel risultato brillante nasconde dei lati ombrosi.

La soluzione è quella di selezionare con cura i clienti, lasciandosi alle spalle il vecchio metodo – diffusissimo tra tutti quelli che sono agli inizi della propria carriera di consulente e di freelance – di accettare qualunque progetto e qualsiasi lavoro.

È necessario rendersi conto che, a un certo punto, bisogna iniziare a pronunciare qualche no, a rinunciare a qualche progetto, e a concentrarsi solo sui migliori clienti. Sta a te, ovviamente, capire quali sono i progetti sui quali devi riporre la tua attenzione: quelli con le aziende più importanti, quelli più divertenti da portare avanti, quelli che dureranno di più, quelli che ti faranno guadagnare di più, quelli che ti apriranno le porte verso nuovi stupendi lidi… i fattori da tenere in considerazione sono davvero tanti.

L’importante è tenere a mente fin da subito che anche il tuo personal branding, a un certo punto – lo spero per te – ti presenterà il suo lato oscuro. E dovrai accorgertene in tempo, prima di incasinarti la vita!

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