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Oggi parliamo di comportamento online e di personal branding. Gli internettiani più eruditi, i saggi del web, collegheranno immediatamente il concetto di comportamento online a quello di netiquette. Non sai di cosa sto parlando? Allora non sei uno dei barbuti savi della rete. Ma possiamo rimediare: netiquette è una simpatica parola “macedonia”, di quelle cioè che vengono create a partire da due vocaboli esistenti uniti in modo sincratico, e più nello specifico fondendo due parole diverse con dei fonemi comuni. A formare la parola “netiquette”, come i più scaltri avranno già intuito, sono i due termini network, ovvero rete, dall’inglese, ed étiquette, ovvero buona educazione, dal francese. Quando si parla di netiquette si fa quindi riferimento a quel corpus di regole non scritte – o meglio, non assimilabili a una legge vera e propria, in quanto scritte sono pur sempre scritte, anche se in modo di volta in volta diverso – che un utente dovrebbe seguire nel momento in cui si muove online nei luoghi in cui è possibile incontrare anche altri utenti. Parliamo dunque di social network, di forum, di portali partecipativi, di mailing list, della sezione commenti dei blog e delle riviste online, e via dicendo. Di fatto, quindi, la netiquette è la buona educazione online, che per certi versi può essere vista come una semplice estensione del concetto già esistente nel mondo reale, mentre altre volte rimanda a qualcosa di più specifico (che ha a che fare per esempio con la condivisione di link, con l’uso del Caps e del grassetto, con la condivisione di dati personali e via dicendo).

Oggi, però, non parleremo di comportamento online nel senso molto – troppo – ampio di netiquette. Parleremo più nello specifico di come certi aspetti del comportamento online possono influenzare il nostro personal brand. Sì, perché anche il comportamento online fa parte del nostro personal branding, e concorre insieme a tanti altri elementi a formare il nostro marchio, la nostra immagine. La stessa cosa accade del resto nel mondo offline: se ci presentiamo tardi a un meeting o se insultiamo le persone durante una conferenza, il nostro personal brand non può che risentirne.

Il problema è che molte persone lì fuori prestano tantissima attenzione ad altri elementi del proprio personal brand online, come il tono di voce, i colori, le foto, i contenuti – il che è assolutamente un bene – ma senza prestare troppa attenzione al proprio comportamento – il che è assolutamente un male – danneggiando di conseguenza il proprio brand personale. Nei miei libri, così come nei miei podcast, o negli interventi dal vivo, racconto sempre che è necessario ‘metterci la faccia’ e questa è una sacrosanta verità. Sai una cosa? Ci metti la faccia anche, e forse soprattutto, con il tuo comportamento. Presta quindi un po’ di attenzione a quello che ho scritto in questo articolo, è per il tuo bene.

Ma cosa voglio dire quando affermo che tante persone attente al proprio brand personale – e quindi consulenti, imprenditori, freelance, manager e via dicendo – non si curano troppo del proprio comportamento online? Sto forse parlando di persone che usano parolacce nei forum? Che postano foto in costumi leopardati sul proprio profilo LinkedIn? Che si augurano l’estinzione dei panda nei loro video dedicati su YouTube? Che distruggono senza ritegno uno chef, la sua discendenza e i suoi avi su TripAdvisor, invocando il ritorno del Sant’Uffizio dell’Inquisizione Romana, solo perché ha osato ritoccare leggermente la sacra ricetta della carbonara (che in effetti non si fa, ma non serve certo essere cattivi)?

No. O meglio, anche, ma non sono questi i comportamenti online più comuni ai quali di solito non si presta attenzione. Quelli sui quali vorrei puntare il dito sono aspetti meno evidenti del proprio comportamento sul web, ma non per questo meno rischiosi. Anzi. Un esempio? Ecco, pensiamo al tipico profilo social che stai usando per ottimizzare e sviluppare il tuo personal branding, per dare visibilità alla tua immagine, per comunicare i tuoi contenuti e per far conoscere la tua voce. Probabilmente parliamo di più profili, uno su Facebook e uno su LinkedIn. La tentazione, in questi casi, è quella di fare di tutto per ampliare la propria base di follower, accettando quindi tutte le richieste di amicizia su Facebook e tutte le richieste di contatto su LinkedIn. Ma è davvero la mossa giusta?

Pensaci un po’. É meglio avere una base di 1.000 contatti, ma di qualità, attinenti il tuo settore e tuoi interessi, e disposti a commentare o condividere in modo costruttivo i tuoi contenuti, oppure avere una base di 5.000 contatti, perlopiù di dubbia provenienza e di dubbia qualità? Facciamo l’esempio di un consulente di marketing che si rivolge, per esempio, alle aziende di piccole-medie dimensioni del settore agroalimentare. Pensiamo a un’azienda che, per cercare maggiori informazioni sul suo conto prima di contattarlo, decide di visitare il suo profilo Facebook, per scoprire che tra i suoi amici ci sono un sacco di persone di dubbia qualità. Di cosa stiamo parlando? Semplice: di persone che non presenteresti mai a un tuo potenziale cliente, o ancora, di profili palesemente fasulli con nomi improbabili, con foto altrettanto improbabili, accettati unicamente per ingrossare le fila dei contatti. E occhio, perché c’è persino di peggio. Oltre ai contatti improbabili di bassissimo profilo accettati solo per far numero ci sono anche i contatti improbabili, di bassissimo profilo accettati solo per far numero che però poi decidono di essere attivi sulle tue pagine, con interventi tutt’altro che graditi. Pensa a tutte quelle persone che esprimono le loro opinioni ‘estreme’ su temi quali ad esempio politica o religione, evidenziando magari il loro pensiero omofobo, razzista, intollerante, etc. Se tu sei loro amico, di fatto stai ‘garantendo’ per loro. Verrai, di fatto, associato a loro. Tempo fa ho eliminato da Facebook tutti i miei contatti che erano fan di un determinato personaggio politico lontanissimo dal mio modo di vedere e di pensare: 400 persone in meno e nessun rimpianto. Il ragionamento dovrebbe essere più o meno questo “nella vita reale – offline quindi – trascorrerei del tempo per prendere un caffè con questa persona?” Se la risposta è no, elimina senza indugi. Ecco, cosa dovrebbe pensare l’azienda che scopre che il profilo del consulente di marketing che sta valutando è seguito soprattutto da persone come Fragoletta76, Fustacchione Latino, e simili? In sintesi, niente di buono e probabilmente qualcosina di cattivo.

Prima di accettare richieste di amicizia o di contatti è quindi bene pensare che sui nostri profili social c’è la nostra faccia, o meglio, che lì, online, mettiamo la faccia in tutto quello che facciamo. Accettare dei buzzurri o delle persone sconosciute di reputazione dubbia sul proprio profilo è un po’ come presentarsi al primo meeting con il cliente accompagnati dal cast di Temptation Island al completo: se non sei il PR di una discoteca, meglio di no.

Non si tratta peraltro solo dei nuovi contatti o delle nuove amicizie. Ci sono tanti altri piccoli passetti falsi che possiamo fare sui social, ai danni del nostro personal branding. Pensa per esempio ai post dei tuoi amici, o magari persino dei tuoi clienti. Pensa, per esempio, a quel tuo amico simpatico, che conosci dal tempo delle medie, che ama condividere su Facebook video di barzellette in dialetto veneziano: ti sembra davvero il caso di condividere quei video sulla tua pagina, magari solo per far felice il tuo amico d’infanzia? Probabilmente, quello non è il luogo giusto per quei contenuti, per mille motivi diversi, senza nulla togliere agli ottimi barzellettieri veneti, né a quel burlone del tuo amico, che probabilmente pensa a tutto fuorché a promuovere il proprio personal brand.

Ma i casi sono tantissimi. Pensa per esempio alle tante fake news che escono tutti i giorni relativamente al delicatissimo momento che stiamo attraversando per via della pandemia: ci sono tante bufale che sono semplicemente irricevibili, dal 5G in poi, ma ce ne sono di quelle che a una prima occhiata potrebbero risultare plausibili, ed è così che non di rado si finisce per condividere delle informazioni che in realtà fanno tutto fuorché informare. E sai una cosa? Nel momento in cui tu, un professionista affermato, un consulente esperto, scegli di mettere un like e/o di condividere una data notizia, di fatto garantisci per la sua fondatezza, per la sua validità. Cosa succede nell’istante in cui, dopo che il tuo post è stato visto da centinaia o persino migliaia di persone, ti accorgi di aver fatto da megafono a una notizia fasulla, e magari nociva? Beh, ormai il danno è fatto, alla società come alla tua immagine. Ecco quindi che, prima di condividere qualsiasi cosa, dovresti pensare a quale effetto quella cosa potrebbe avere sul tuo personal brand, e agire di conseguenza.

La verità, dunque, è questa: tutto quello che si fa online, dai like ai post altrui alle condivisioni di contenuti, fino ai contatti e alle amicizie, fa parte del tuo personal brand, e in piccola – ma non trascurabile – parte definisce la tua immagine. Quindi seleziona bene il “gruppo” con il quale vuoi presentarti online, pensa bene a quali contenuti vuoi associare al tua immagine, insomma… comportati bene!

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