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Prima o poi arriva. Nella maggior parte dei casi può essere piccola, piccolissima. E allora, se gestita bene, e per tempo, è davvero possibile che passi praticamente inosservata, come se non fosse mai esistita, o quasi. Altre volte, invece, è grande, già all’inizio. E quando arriva, è destinata a diventare ancora più grande, ancora più pericolosa, a meno che non venga gestita fin da subito nel migliore dei modi, con tecnica, prontezza di spirito, lucidità, sangue freddo, tempismo, e se possibile con un lampo di genio.

Di cosa sto parlando? Ma delle crisi, ovviamente, e più nello specifico delle crisi sui social media. Queste crisi accadono tutti i giorni, nei casi più diversi. Potrebbe essere qualcosa che rimbalza dall’esterno, e quindi qualcosa che accade all’esterno dei social network e che poi prende forma e si amplia su Facebook, su Twitter e su Instagram. Pensiamo a quando, qualche tempo fa, una pubblicità Pepsi con protagonista Kendall Jenner attirò tantissime critiche per avere banalizzato il movimento “Black lives matter”, oppure al Diesel Gate scoppiato intorno allo scandalo Volkswagen. Ma pensiamo anche al famoso caso Barilla del 2013, quando Guido Barilla, nel corso di un’intervista radiofonica, ebbe a dire che “Non faremo pubblicità con omosessuali, perché a noi piacciono le famiglie tradizionali”, scatenando un’ondata di sdegno sui social e facendo diventare velocemente virale l’hashtag #boicottobarilla. Quella volta, tra l’altro, la risposta del brand si fece attendere per ben 24 ore, con danni enormi per il marchio. Altre volte la crisi nasce direttamente dai social network: un post distratto, una dichiarazione stupida, una risposta aggressiva a un commento di un utente, o persino un errore di battitura che dà il via a una temutissima shitstorm.

Il 70% del valore di un’azienda è determinato dagli asset intangibili. È chiaro, quindi, che l’impatto di una crisi può essere molto pesante da un punto di vista della reputazione e, di conseguenza, del suo valore, anche economico. 60 minuti è il tempo necessario, secondo J. E. Lukaszewski nel suo libro, per gestire una situazione di crisi, minimizzando il danno. Si chiama Golden Hour, ora d’oro, perché un’azienda in pochi minuti può decidere il suo destino. Affrontare con successo una crisi richiede infatti due dati fondamentali: un meticoloso lavoro preventivo e una notevole esperienza. Ogni crisi ha un inizio e una fine: quello che sta nel mezzo è il percorso della crisi. Individuare i possibili punti di partenza e di arrivo consente di governare il processo e, soprattutto, di intervenire per abbreviarne il percorso e la durata.

Insomma, le crisi sui social network esistono. E il consulente di marketing non può certo far finta di nulla, non può fingere che non esistano o che si tratti di un tema di cui si devono occupare altri. E per altri intendo chiunque: il vertice dell’azienda, il social media manager, il tecnico IT, lo stagista, l’addetto alle pulizie. Certo, a mettere effettivamente le mani sulla pagina Facebook dell’azienda, in linea di massima, potrebbe essere una qualsiasi di queste figure – anche se ovviamente speriamo si tratti sempre di un SMM – ma a definire un workflow operativo di crisis management dovrebbe essere sempre il consulente.

Quindi, qual è il ruolo del consulente di marketing nel social media crisis management? Semplice: il consulente deve formare il team dell’azienda affinché sia pronto ad agire nel modo giusto in caso di crisi. Il compito del consulente, dunque, è quello di agire a monte, gettando le basi di una strategia di social media crisis management che poi, in caso di crisi, dovrà essere seguita per sistemare le cose in breve tempo e in modo efficace.

Il concetto di base è del resto semplice: quando ci si trova a navigare nel bel mezzo della bufera, con la nave che imbarca acqua, è troppo tardi per leggere il manuale. Allo stesso modo, non si impara a gestire una crisi quando la crisi esplode, è bene farlo prima. Il motivo è semplice: l’unico dato certo è che il pubblico è sempre pronto per arrabbiarsi, per indignarsi e per mettere un marchio alla gogna. Talvolta giustamente, talvolta – spesso – no. Il consulente deve quindi prima di tutto far capire all’azienda che una crisi sui social media è sempre dietro l’angolo, e che di fatto si inizia a essere esposti a una shitstorm ancor prima di sbarcare sui social: nel momento in cui si esiste, la crisi sui social è in agguato, per il semplice fatto che i social media “vivono” di temi caldi, e che tutti sbagliamo, esponendo il fianco.

Come si crea dunque un buon piano strategico per fronteggiare una crisi sui social media? Prima di tutto è necessario indicare tutti quelli che sono dei comportamenti nocivi, controproduttivi, negativi o semplicemente idioti. È dunque assolutamente vietato, in caso di crisi – di qualsiasi entità – aspettare, facendo finta di niente; certo, la cosa potrebbe sgonfiarsi, ma potrebbe invece non farlo, gonfiandosi sempre di più. Vietato quindi stare fermi, così come è vietato intervenire sui social scaricando la colpa su qualcuno (il social media manager che incolpa il reparto vendite, l’azienda che incolpa il governo, e così via). E vietato, ovviamente, rispondere in modo aggressivo, o dire delle bugie, le quali si sa, hanno una vita breve.

Indicati quelli che sono gli errori da non fare, vediamo cosa bisogna fare. Prima di tutto, bisogna tenere a mente che, dietro a degli utenti arrabbiati o delusi ci sono sempre delle persone, le quali vogliono essere prima di tutto ascoltate, capite, e quindi possibilmente aiutate, con le scuse – se c’è anche solo la minima colpa – da parte dell’azienda.

Sull’onda di questo presupposto è possibile preparare il piano strategico vero e proprio. Il primo passo è quello di indicare chi farà cosa, e quindi quali saranno i ruoli per fronteggiare la crisi su social media. Chi deve prendere in mano la situazione? Il social media manager? Il capo? L’addetto stampa? Una volta assegnati i ruoli, è bene dare delle linee guida, il più possibile specifiche e concrete, ma non troppo specifiche da non poter essere di volta in volta applicate.

È poi necessario definire cosa è una crisi, e cosa non lo è, nonché differenziare tra diversi livelli di crisi. In base alla grandezza e alla popolarità di un marchio, per esempio, si potrebbe iniziare a parlare di crisi nel momento in cui le menzioni negative oltrepassano il numero di 5 in un’ora, e di crisi codice rosso quando le menzioni negative sono più di 10: nei diversi casi si possono adottare diverse linee guida, con un numero maggiore o minore di persone coinvolte nella gestione.

Ma come si agisce nel concreto? Una volta che è stata elaborata la strategia di social media crisis management è fondamentale passare alla prima fase operativa, ovvero alla prevenzione, e quindi all’individuazione di tutti i punti deboli che potrebbero dare il via a una crisi. Alcuni possono essere eliminati – come per esempio togliere gli accessi ai social network a un manager verbalmente irruento, alla Trump per intenderci – altri no, come per esempio un dato difetto ineliminabile di un prodotto. Nel momento in cui si trovano dei punti deboli che non possono essere eliminati, è bene studiare una strategia ad hoc pronta per l’uso nel momento in cui questi verranno a galla. Un’azienda di snack sa che ogni 10.000 ciambelle ce ne sarà quasi sicuramente una senza buco? Allora deve essere pronta a rispondere nel modo giusto all’utente che lo farà notare in modo più o meno allarmato su Facebook.

Sempre in fase di prevenzione, è bene tenere sotto controllo la situazione, controllando le proprie pagine sui social per intercettare qualsiasi menzione del proprio brand o dei propri prodotti (ci sono tanti tool che permettono di farlo, Talkwalker, Hootsuite ma anche il semplice ma potente Google Alert). In questo modo si potrà sapere immediatamente quando si parla – nel bene o nel male – della propria azienda o dei propri prodotti e/o servizi.

E nel momento in cui scoppia la crisi? In quell’istante si deve mettere a frutto tutto quello che si è preparato, agendo immediatamente, partendo dal presupposto che basta un’ora per rendere una crisi a livello nazionale e internazionale. É poi fondamentale resistere alla tentazione di eliminare i commenti negativi (poiché i commentatori, ancora più arrabbiati, sposteranno la battaglia altrove) e, con pazienza e cortesia, sforzarsi di ascoltare l’opinione di tutti e di rispondere in modo calmo, senza mai cedere a nessuna provocazione. In ogni caso, è necessario informare gli utenti in modo chiaro su quello che è successo e su quello che sta accadendo, portando quando necessario le scuse dell’azienda.

Quindi tempismo, pazienza, calma, cortesia e umiltà. Che altro? Un po’ di fantasia, e se possibile anche un filo di ironia: alcune crisi, se affrontate nel modo giusto, possono perfino diventare dei punti di svolta positivi per un brand, che potrebbe acquistare preferenze proprio per la trasparenza, la velocità e la simpatia con cui ha saputo gestire un colpo che per altri sarebbe potuto essere fatale.

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