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Quante volte nella tua vita da consulente di marketing qualcuno ti ha detto “non ti preoccupare”? Quanti articoli intitolati “Tre consigli per smettere di preoccuparsi” o “Ecco come affrontare le preoccupazioni” o simili ti sono capitati sotto gli occhi nei tuoi distratti pellegrinaggi online tra social e riviste? Ma insomma, spiegami bene: quand’è che abbiamo iniziato a guardare alla preoccupazione come a qualcosa di malsano, di cattivo e assolutamente controproducente? In quale momento della nostra recente evoluzione ci siamo messi in testa che la preoccupazione sta nello stesso sacco in cui troviamo lo stress, le paure e le ansie?

L’etimologia della parola preoccupazione, di per sé, sembra abbastanza chiara, non servirebbe essere un latinista. Ma giacché la Treccani è a portata di mano, ne approfitto: il termine arriva dal latino praeoccupatio, derivato di praeoccupare, che vuol dire “occupare prima”, o “prevenire”. Preoccuparsi vuol dire di fatto “pensare prima a qualcosa”, senza quindi andare avanti con le fette di salame sugli occhi, esposti a qualsiasi ostacolo. Semplificando – forse eccessivamente, ma ci siamo capiti: chi non si preoccupa è stupido.

Certo, lo so, un consulente di preoccuparsi ne ha sempre ben donde. Sparo qualche preoccupazione tipica a caso? Affrontare nel modo giusto il meeting con quel potenziale cliente, far quadrare i conti a fine mese e a fine anno, preparare l’intervento per quel seminario, non restare indietro con l’aggiornamento, scegliere collaboratori giusti… te lo dico io: non esiste consulente che non abbia astratte ma ricche liste di preoccupazioni, da quelle quotidiane a quelle straordinarie. Di più: non esiste professionista che non sia più o meno costantemente preoccupato, o meglio, non esiste un professionista di successo – o disposto per il successo – che non sia accompagnato regolarmente dal suo mucchietto di preoccupazioni.

Ma per un consulente, essere preoccupato, non è solo normale: è utile. L’attenzione non dovrebbe andare verso i tentativi – inutili – di eliminare questi pensieri. No, dobbiamo invece impegnarci per non trasformarli in assilli, in crucci devastanti, in sofferenze, in blocchi. Perché certo, preoccuparci in vista di un importante incontro è salutare, ci aiuta a prepararci al meglio, a considerare tutti gli scenari. Ma se quelle preoccupazioni si trasformano in paure, allora la situazione cambia diametralmente.

Il primo passo è quindi quello di digerire il fatto che, senza una buona dose di preoccupazioni, probabilmente riusciremo a fare ben poco. Il secondo passo è invece cambiare mindset, senza mai sovraccaricare di significato nessun appuntamento, nessun impegno, nessun compito. Nessun incontro rappresenta l’ultima possibilità di farcela, e da nessuno dei nostri lavori o progetti dipende o dipenderà il futuro dell’umanità. La preoccupazione lavora in modo proattivo solo fino al momento in cui ci spinge a fare meglio; nel momento in cui invece ci frena, va ridimensionata.

Ma come fare? Beh, ci sono tanti metodi per rimettere la preoccupazione al suo posto, come utile spinta e non più come paura. C’è la meditazione, certo, ma su questo campo ho ben poco da consigliarti. Posso dirti che accrescere le competenze inerenti la propria nicchia aiuta a sentirsi molto più sicuri, e quindi ad avere meno paure. Posso dirti che circondarsi di buoni collaboratori è utile per avere un appoggio esterno, nonché per imparare dagli altri come vengono affrontate le situazioni potenzialmente difficili: non è detto che gli altri facciano meglio di te, ma potresti sempre imparare qualcosa di utile.

E ancora, cento volte la preoccupazione eccessiva potrebbe essere sintomo di un errore alla base, di una strategia errata. Forse le preoccupazioni ti assillano perché devi ancora trovare la tua nicchia, e perché quindi ti trovi ogni giorno ad affrontare progetti diversi, senza avere una reale e rassicurante specializzazione. O forse sei preoccupato perché, non lavorando sufficientemente sulla promozione della tua figura, hai sempre paura che al termine dei progetti che stai affrontando si presenti un periodo di vuoto. Se ti riconosci in questi casi, un ripensamento del tuo approccio alla professione di consulente è d’obbligo!

E poi aiuta imparare qualcosa da chi è arrivato al successo. Pensiamo a Jeff Bezos: lui ha spiegato in modo abbastanza chiaro di non essere assolutamente preoccupato del fallimento. Ha spiegato piuttosto che l’unica cosa che avrebbe rimpianto sarebbe stato il fatto di non averci provato. E non è certo l’unico grande CEO che ha spiegato il suo rapporto con le paure e le preoccupazioni. Kenneth Chenault, CEO di American Express, ha spiegato che il suo successo è da ricondurre in buona parte proprio all’abitudine di preoccuparsi, e alla sua capacità di gestire questi pensieri ricorrenti in modo efficace. Ogni sera Chenault fa una lista delle 3 cose che lo stanno preoccupando di più; il mattino dopo la sua giornata lavorativa parte esattamente da queste tre sfide. Non evitare, ma affrontare.

Ognuno di noi può mettere in campo delle tecniche diverse non per combattere, quanto per gestire nel modo giusto le preoccupazioni. Infine, può certamente aiutare allenarsi a preoccuparsi per le cose giuste, senza perdere energie, tempo ed equilibrio mentale dietro a cose che non meritano nulla di tutto questo. Quante volte, a posteriori, hai capito che le tue preoccupazioni erano state del tutto inutili e fuori luogo? Come diceva Schopenhauer, “quasi la metà di tutte le nostre angosce e le nostre ansie derivano dalla nostra preoccupazione per l’opinione altrui”. Insomma, impara a capire per cosa ti stai davvero preoccupando, e muoviti di conseguenza!

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