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Argomenti di grande attualità, problemi che riguardano tutti, topic su cui ognuno sembra avere qualcosa da dire. Non ci sono dubbi: negli ultimi anni ci sono stati giorni, settimane o perfino mesi in cui gli argomenti pubblici di discussione erano ben chiari. Pensiamo ovviamente prima di tutto all’emergenza sanitaria, con una lunga lista di elementi che hanno creato contrasti vivissimi e spesso feroci, dal distanziamento sociale fino all’uso delle mascherine, per arrivare ai vaccini e al Green Pass. Ma pensiamo anche all’invasione russa dell’Ucraina, alle elezioni politiche italiane. Ma anche ad argomenti meno clamorosi: le performance della nazionale di calcio, i comportamenti dei concorrenti del Grande Fratello Vip, la separazione tra Totti e Blasi.

Tutti tendono a farsi un’opinione su buona parte di questi temi. Certo, per fortuna c’è chi riesce a non interessarsi o perlomeno a non preoccuparsi per i risultati degli azzurri, per quel che succede nei reality o tra i vari vip. Ma ci sono altri temi che in qualche misura riguardano davvero tutti, e che entrano e influenzano la nostra quotidianità.

Questo però non vuol dire che tutti noi siamo chiamati a dire la nostra, mettendoci di volta in volta nelle vesti del virologo, del legislatore, del dottore, del diplomatico, del politico, del coach, dell’opinionista o dell’avvocato divorzista. Certo, nella nostra intimità, al tavolo al bar con gli amici o nella cena in famiglia, possiamo parlare un po’ di quello che ci pare. Ma quando ci rivolgiamo a un pubblico più ampio, il discorso cambia – o meglio, dovrebbe cambiare.

Il problema è che, nell’epoca dei social, tutti possiamo parlare a un pubblico potenzialmente ampio. O perlomeno più largo di quello che potremmo avere tra amici, tra colleghi o in famiglia. E questo è vero soprattutto per chi nel tempo si è impegnato per costruire un efficace personal brand, con una buona visibilità. Ecco che allora il pubblico potrebbe essere largo o larghissimo, e potrebbe auspicabilmente essere davvero coinvolto in – nonché interessato a – quello che diciamo.

Ma fino a che punto? Fino a che punto il pubblico di una persona che ha costruito un buon personal brand può rimanere coinvolto e interessato? Le variabili in campo sono tante, ma il fatto di avere un focus, di rimanere focalizzati sui propri temi, è senz’altro cruciale. Da questo punto di vista è essenziale smetterla una volta per tutte di scambiare i propri canali sui social network per il bar sotto casa, e capire che il nostro pubblico non è lì per ascoltare ogni nostra opinione.

Costruire un personal brand vuol dire infatti costruire un marchio riconosciuto, diventando un punto di riferimento per delle tematiche ben precise nei confronti di un pubblico ben definito, che può essere più o meno grande. C’è chi nel tempo si è fatto un nome come esperto di ADV, chi è considerato ormai un punto di riferimento insostituibile per la storia dell’ottocento italiano, chi viene visto come il guru dei lievitati. Buon per loro. Ma cosa succede nel momento in cui un esperto di ADV si mette a parlare di SEO? Cosa accade quando uno storico si mette a dare le sue opinioni sui vaccini? Cosa pensa il pubblico quando l’esperto panettiere dà le sue opinioni sui risultati delle elezioni?

Semplice: in quel caso, il focus viene perso. Quando, soprattutto senza una precisa richiesta da parte del proprio pubblico o del proprio interlocutore, si inizia a parlare di un argomento totalmente e inevitabilmente esterno alle proprie competenze, si esce dal proprio orticello, e ci si avvicina pericolosamente al vendersi come tuttologi. E di tuttologi, ne siamo certi, non ne abbiamo davvero bisogno.

Di nuovo: perché? Perché il pubblico si rivolge a un esperto per avere delle informazioni su quella precisa area, su quella precisa nicchia di temi. Nel momento in cui si parla di qualcosa di totalmente esterno, senza nessun collegamento, allora non si aggiunge nessun valore, non si aiuta in alcun modo il proprio pubblico, pur parlando da quella “cattedra” che è il nostro personal brand costruito negli anni. Ma il fatto di avere qualche migliaio di follower non ci rende assolutamente degli esperti a 360 gradi, e non ci autorizza a sparare qualsiasi boiata ci passi per la testa.

Sì, possiamo avere delle opinioni su qualsiasi cosa. Ma comunicarle al nostro pubblico è sbagliato, per noi e per loro, i nostri interlocutori. Senza approfondire quanti danni si possano fare quando si fa finta di essere esperti di materie che non ci competono, mi basta sottolineare quanto allontanarsi dalla focalizzazione possa essere dannoso per una strategia di personal branding: una persona che parla di tutto è una persona che non parla di niente, che dice cose senza avere una solida base di competenze sulla quale appoggiare le proprie affermazioni. E la propria credibilità, a quel punto, inizia a sgretolarsi.

Un buon personal brand è costruito su determinati argomenti, su un’impostazione chiara, su dei valori precisi. Nel momento in cui ci si allontana da questi confini il danno è già stato fatto. Varrebbe quindi la pena applicare anche nel personal branding i principi dell’ignoranza selettiva, la quale di solito viene interpretata in modo passivo.

Applicare l’ignoranza selettiva nella vita di tutti i giorni vuol dire selezionare accuratamente gli argomenti che vogliamo conoscere e coltivare, per chiudere fuori dalla porta tutto quello che non ci interessa davvero. É un modo per non subire passivamente le notizie, per non perdere tempo intorno a informazioni che non vogliamo conoscere. Ecco allora che, quando si cerca un’informazione, si andrà subito verso una fonte autorevole, lasciando perdere il chiacchiericcio; che si spegnerà la televisione quando non ci sono programmi che ci interessano, così da non avere quel fastidioso chiacchiericcio in sottofondo; che smetteremo di interessarci ad argomenti inutili per la nostra felicità, così da risparmiare tempo ed energie da dedicare a quello che davvero ci importa e ci serve.

Ecco, nel caso del personal branding, applicare i principi dell’ignoranza selettiva vuol dire parlare solo di quello che importa al nostro pubblico e di cui siamo esperti: quando non siamo in grado di aggiungere del comprovato valore, stiamo semplicemente zitti, affidando tempo, risorse ed energie al nostro focus.

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