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Negli anni ho dato tanti diversi consigli per creare un podcast che valesse la pena d’essere prodotto e, ovviamente, di essere ascoltato. Tra le caratteristiche principali di un buon podcast che non ho mai mancato di sottolineare c’è, per esempio, la continuità. Un buon podcaster, che sa fidelizzare il proprio pubblico, è quello che sa mantenere un ritmo costante, così da rinnovare di volta in volta l’appuntamento con i propri ascoltatori, senza tradire le loro aspettative. Quando si tratta di serialità, siamo abituati infatti ad avere un preciso rispetto delle date e delle scadenze: la serie tv con un nuovo episodio ogni settimana, la rivista che arriva nella cassetta delle lettere ogni inizio del mese, e via dicendo.

Tipicamente un podcaster si impegna a pubblicare un nuovo episodio ogni settimana, o magari ogni due settimane, sapendo che lo zoccolo duro dei propri ascoltatori aspetterà di volta in volta con una certa ansia l’uscita del nuovo episodio. Ed è proprio mantenendo quella promessa che si riesce a fidelizzare ulteriormente la propria audience.

Ma attenzione: il fatto che la continuità della pubblicazione al medesimo ritmo sia un fattore importante non significa che sia in assoluto il più importante di tutti.

Nossignore: non ci vuole del resto niente, di per sé, a rispettare questo criterio. Basterebbe ricordarsi, ogni giovedì sera, di registrare quattro cavolate con il proprio smartphone per poi pubblicarle sulla propria piattaforma di riferimento. Senza preparazione, senza analisi, senza approfondimenti, senza editing: insomma, un po’ come mandare un audio su Whatsapp.

Un buon podcast ha ed è invece molto, molto di più. Il problema è che non sempre, per rispettare la propria tabella di marcia – per esempio la pubblicazione di un episodio ogni settimana – si riesce a mantenere alto il livello qualitativo dei propri episodi. Ma vale davvero la pena sacrificare la qualità dei propri episodi per assicurare la quantità predefinita di episodi al proprio pubblico? Non è che forse il voler rispettare forzatamente il proprio proposito di pubblicare 52 episodi all’anno, per la nostra mancanza di tempo, possa portare ad abbassare in modo deludente la qualità dei contenuti?

Pensiamoci un po’: cosa succede nel momento in cui, per rispettare una tabella di marcia che peraltro noi stessi abbiamo deciso, finiamo per produrre uno, due o tre episodi di qualità nettamente inferiore rispetto ai precedenti? Ebbene, in quel momento stiamo minando la stabilità della nostra audience. Un fedele ascoltatore che ascolta un episodio poco interessante, poco curato o persino confuso potrebbe certamente chiudere un occhio (o meglio, un orecchio), mentre un altro, in seguito a questo calo di qualità, potrebbe non trovare la spinta giusta per aspettare l’episodio successivo, mettendo una croce sul tuo podcast. Un episodio toppato è sufficiente per perdere una piccola fetta di pubblico, due episodi sbagliati possono portare a un concreto calo dell’audience, tre episodi di qualità scarsa possono praticamente segnare la morte di una produzione fino a qualche settimana prima promettente.

E non è tutto qui. Chi punta espressamente sulla quantità trascurando la qualità non rischia unicamente di perdere i propri ascoltatori. Rischia infatti anche di ridurre in modo drastico la possibilità di guadagnarne di nuovi: perché i nuovi episodi non sono incoraggianti, perché il passaparola sul decadimento del podcast fa desistere i curiosi, e via dicendo.

Ecco allora che, nel momento in cui ci accorgiamo che la scaletta che ci siamo fissati è troppo difficile da rispettare, compromettendo la qualità dei nostri contenuti, diventa cruciale rimediare. In che modo? Sicuramente il modo più semplice è quello di dilatare il tempo tra una pubblicazione e l’altra, avvisando il proprio pubblico di questo cambio di programma: anziché avere un appuntamento settimanale con un podcast, così facendo, si potrà passare a due pubblicazioni al mese. Il pubblico sarà sicuramente disposto, nella stragrande maggioranza dei casi, a continuare a seguire un podcast con una frequenza minore, ma con una qualità intatta o persino superiore.

Chi proprio non vuole prendere in considerazione l’idea di ridurre il ritmo di pubblicazioni potrebbe invece pensare a ridimensionare la durata di ogni singolo episodio, passando per esempio da una durata media di 20 minuti a una durata media di 10 minuti. Ma non tutti possono optare per questa strada: ci sono tanti format che, essendo nati per occupare una ventina di minuti, difficilmente possono essere convertiti in modo efficace in episodi lunghi la metà.

La cosa importante è in ogni caso una: non finire per intrappolarsi con le proprie mani in una gabbia di pubblicazioni troppo frequenti, a scapito della qualità dei nostri episodi e del piacere che possiamo provare nel produrlo. Nel momento in cui un podcast diventa a tutti gli effetti un compito gravoso, che facciamo perché “dobbiamo”, la qualità non può che risentirne, con le conseguenze che conosciamo sui risultati finali.

Ecco quindi che la coerenza in un podcast non deve essere tenuta in considerazione soltanto per quanto riguarda il ritmo delle pubblicazioni, ma anche e soprattutto per quanto riguarda la qualità dei contenuti, con il secondo fattore che sovrasta il primo. Meglio pubblicare un episodio in ritardo che portare alle orecchie del proprio pubblico un episodio di qualità scarsa, e meglio rivedere in modo concreto il calendario delle pubblicazioni quando si ha la tendenza ad arrivare con il fiatone ad ogni singola nuova uscita.

Non ci sono dubbi: ci vuole tempo. Ci vuole tempo per studiare le esigenze e le preferenze del proprio pubblico, ci vuol tempo per approfondire i propri contenuti nonché per presentarli al meglio, e sì, ci vuole tempo anche per costruire un pubblico abbastanza ampio e fedele. Non si tratta di qualcosa che può avere luogo nel giro di poche settimane o di pochi mesi: a volte servono anni, ed è anche per questo che un programma troppo serrato di pubblicazioni alla lunga potrebbe diventare gravoso e controproducente.

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