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Diciamolo: parlare delle nostre emozioni non è la cosa più facile che possiamo fare. Anzi, per molte persone esternare quello che sentono o provano risulta praticamente impossibile. Questo vale anche per il consulente di marketing. Perché? Per tanti motivi. Perché non si è a contatto con il proprio io, perché si è stati istruiti in modo diverso, perché si è troppo occupati per seguire il mondo esterno per riuscire a dedicarsi a quello interno, o magari per tanti altri motivi, tutti diversi.

Eppure non ci sono dubbi: la maggior parte delle persone dovrebbe imparare a gestire meglio le proprie emozioni, per il semplice fatto che nella maggior parte dei casi si parte da livelli piuttosto bassi di consapevolezza di quello che accade nella nostra metà del cervello che “sente”, laddove invece siamo in rapporti tendenzialmente migliori con l’altra metà, quella che si limita a “pensare”.

E lo dico anche e soprattutto pensando al mondo del lavoro, e in particolar modo pensando ai consulenti: tutti dovremmo investire un po’ di tempo e di energie nella nostra intelligenza emotiva. Certo, quando si parla di emozioni gli individui alfa tendono a distogliere l’attenzione, nella convinzione che il mondo delle emozioni sia quello dei diari segreti, delle case delle bambole, delle telenovelas e dei romanzi rosa. Ma si tratta invece della realtà: tutti proviamo ogni giorno una miriade di emozioni, e saperle gestire bene può avere degli effetti quasi miracolosi anche nella gestione della nostra attività di consulenza.

Cos’è quindi l’intelligenza emotiva? In parole povere, si tratta della abilità di riconoscere, di capire e di controllare le proprie emozioni, nonché di riconoscere, di capire anche le emozioni altrui. I primi a parlare di intelligenza emotiva, negli anni Novanta, furono Salovey e Mayer, definendola come «la capacità di monitorare le proprie e le altrui emozioni, di differenziarle e di usare tali informazioni per guidare il proprio pensiero e le proprie azioni». Citatissimo quando si parla di intelligenza emotiva per via dei tanti studi a essa dedicati, Daniel Goleman l’ha definita come la capacità di «riconoscere i nostri sentimenti e quelli altrui, di motivare noi stessi, e di gestire positivamente le nostre emozioni, tanto interiormente quanto nelle relazioni sociali». Lo stesso Goleman è arrivato a dire che l’intelligenza emotiva può essere più importante di quella “classica”, misurabile con i test IQ per intenderci: secondo questo studioso del comportamento, solamente il 20% del successo di una persona arriva dall’IQ, mentre il resto è strettamente correlato con l’intelligenza emotiva.

Insomma, chi non riesce a gestire le proprie emozioni ha davanti a sé, anche a livello professionale, una strada in salita e piena di ostacoli. Penso al consulente: un professionista con una buona e allenata intelligenza emotiva ha maggiore facilità nel riconoscere le sensazioni provate dal cliente o dal potenziale tale, e può quindi prima di tutto comprenderlo meglio, e in secondo luogo può lavorare in modo più efficace per fornire la soluzione necessaria.

Ma pensiamo anche quanto sia prezioso essere in grado di riconoscere le proprie emozioni come la paura, l’ansia o la frustrazione, e di conseguenza gestirle nel modo corretto. Senza lasciare, per esempio, che la paura mandi all’aria un incontro con un potenziale cliente, o che la frustrazione porti a essere sgarbati di fronte a un cliente che potrebbe decidere di affidare un progetto a degli altri professionisti. Non è tutto qui: un consulente con una buona intelligenza emotiva riesce a costruire un network più solido, con relazioni più autentiche, e riesce più facilmente nell’intento di convincere altre persone a sposare le proprie idee.

Impegnarsi sul fronte della gestione delle emozioni significa avere maggiore consapevolezza di sé stessi, nonché avere una più piena padronanza dei propri comportamenti e dei propri impulsi. Tutte cose importanti sia per il rapporto con i clienti, sia per il rapporto con i propri collaboratori.

Tutte belle cose, certo. Ma come è possibile migliorare la propria intelligenza emotiva? Non si tratta forse di una cosa innata? Non proprio. Forse è più giusto dire che siamo tutti innatamente intelligenti a livello emotivo, ma che tendiamo praticamente tutti a perdere il contatto con questa sfera di elementi interiori.

Non tutto è perduto però, ci si può lavorare. Come? No, non serve mettersi a leggere montagne di romanzetti rosa. Prima di tutto, per migliorare questo aspetto, ci si dovrebbe sforzare di riconoscere le varie emozioni che si provano durante il giorno: quante volte siamo agitati senza nemmeno sapere bene il perché, arrivando a puntare il dito contro elementi o persone che in realtà poco o nulla hanno a che fare con il nostro nervosismo? Quante volte abbiamo un umore nero e non ci fermiamo nemmeno un secondo per capire dove la giornata ha iniziato ad andare storta?

Meglio quindi iniziare a fare caso alle emozioni provate, e a dargli un nome. Poi si può cominciare a lavorare all’esterno, chiedendo qualche feedback a chi vive o lavora con noi: chiedi loro, ad esempio, come rispondi allo stress, come gestisci il conflitto. Ognuno di loro ti darà delle risposte leggermente diverse, ma il fondo di verità sarà abbastanza chiaro.

A partire da questi due punti è possibile costruire i propri pattern emotivi, imparare a riconoscere i propri meccanismi mentali, per avere così un maggiore controllo. Nessuno ti sta dicendo di diventare un robot: al contrario, quello che ti sto dicendo è esattamente all’opposto. Per migliorare come consulente dovresti infatti prestare maggiore attenzione alle tue emozioni, cercando parallelamente di essere una persona più positiva. Il che non significa affatto far finta di non vedere i problemi e le criticità: vuol dire invece vedere tutto quanto, senza mai perdere di vista che sei tu a comandare, e a decidere non solo cosa fare, ma anche come reagire.

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