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Non si dovrebbe mai dare agli altri un potere tale da poterci rendere nervosi con un solo gesto di per sé innocente. Tipo: penso per esempio alla persona X che si presenta a una cena con una camicia stravagante e alla persona Y che, già nei primi secondi di conversazione, lascia intendere tutta la propria disapprovazione per la scelta di quell’outfit. Ecco, se a quel punto la persona X ci resta male e finisce magari per rovinarsi la serata, allora molto probabilmente ha relegato nelle mani della persona Y – e probabilmente di gran parte dei propri conoscenti – un potere decisamente troppo grande. Non una freccia, non un pugnale: se riconosciamo a qualche parola di disapprovazione il potere di ferirci, allora siamo nei guai.

Però oh, non si può nemmeno restare del tutto indifferenti. Le parole hanno pur sempre il loro peso. Anche quando non sono rivolte a noi. Per esempio, non di rado mi capita di incappare in qualche post su LinkedIn capace di darmi 15 secondi di rabbia. Ecco, non è che in quei 15 secondi io mi metta a lanciare piatti per l’appartamento o a fracassare la scrivania a pugni. No, diciamo che però in quegli istanti non consiglierei a nessuno di telefonarmi per propormi un nuovo contratto per l’Adsl: potrebbe passare a sua volta un brutto minuto senza averne nessuna colpa.

Il bello è che quei post non sono rivolti a me, o perlomeno, sono rivolti a me come a centinaia o migliaia di altre persone. Non dovrei prenderla sul personale. Eppure qualcuno ci riesce lo stesso, soprattutto quando si parla di temi a me cari. Inutile dire che, con il personal branding, succede spessissimo. É successo anche l’altro giorno. Me ne stavo sereno su LinkeIn, praticamente di passaggio tra una scheda e l’altra del mio computer, quando sotto agli occhi mi appare un post di una persona che conosco, e toh, parlava di personal branding.

Insomma, non posso fare a meno di leggerlo. Tornando indietro, potendo, deciderei di non farlo e di passare oltre. Perché a risultarne rovinati non sono stati solamente 15 secondi. Parlo di minuti, di minuti di serenità che non mi verranno mai più restituiti. Il post raccontava (non vado a copiare parola per parola perché mi sembrerebbe brutto citare il testo e soprattutto non è mio interesse aizzare una caccia alla strega/allo stregone): di un corso sul Personal Branding nel quale si sarebbero spiegati dei segreti per aumentare i follower su LinkedIn. Devo specificare che questa persona non si occupa attivamente di personal branding nella vita? Non dovrebbe servire, il post parla da solo. Anzi, non parla, grida, e risuona nelle mie orecchie come una sirena (come quella dei pompieri, non quella mitologica).

Quel post, ovviamente, rappresenta solo un inizio: se la presentazione del corso è talmente sbagliata, non oso nemmeno immaginare come possono essere i contenuti effettivi del corso stesso. È difficile trovare un modo più sbagliato, ingannevole e stereotipato di parlare di personal branding. Ma che è? Come si può presentare il personal branding come uno strumento per aumentare i tuoi follower su LinkedIn? Già da questa frase si capisce che si ha un’idea del tutto sbagliata di cosa possa essere il personal branding, andando a parlare di cose assolutamente inesatte.

 

Quindi che cosa diamine è il Personal Branding?

Il personal branding non è una questione di numeri, non si fa personal branding per avere più follower, tanto meno per avere X nuovi follower in Y minuti. Che poi, che vorrà mai dire? E a che pro? Fare personal branding non è una questione di quantità, ma di qualità. Ecco, ipotizziamo che qualcuno insegni davvero come ottenere 10.000 nuovi follower in 1 giorno. Mettiamo anche che lo studente – neofita – per ottenere questi 10.000 follower, di giorni ce ne impieghi 2, o persino 3. Che cosa se ne farà di questi 10.000 follower? Perché, per come il personal branding viene purtroppo inteso, lo scopo è quello di avere più follower.

Ma per fare che cosa? Non è che chi fa personal branding lo fa per avere più contatti, come se si fosse il direttore di un quotidiano che punta giorno dopo giorno ad aumentare la tiratura.

Fare personal branding, farlo per davvero e farlo con dei vantaggi, vuol dire comunicare agli altri chi siamo e che cosa facciamo. Fare personal branding vuol dire comunicare un valore, distinguersi dalla massa, diventare un punto di riferimento impresso nella mente del proprio pubblico. Che, si badi bene, può e molto spesso deve essere ristretto.

Fare personal branding non vuol dire pompare la propria immagine, non vuol dire moltiplicare i propri follower. Vuol dire essere autentici, costruire un rapporto di fiducia. Aumentare i follower su LinkedIn, invece, vuol dire solo e unicamente aumentare i follower su LinkedIn. Non ci sono sottotesti e non ci sono benefici. Anche perché, lo sottolineo, avere 10.000 follower che non sono interessati a noi, e non avere peraltro nulla da dire a questo pubblico, è del tutto inutile. Anzi, può essere persino dannoso, perché si rischia di dare a quei 10.000 disgraziati un’immagine meschina o vuota. Vuoi saperne sul di più Personal Branding gratis? Ascolta il mio podcast interamente dedicato all’argomento: https://www.alessandromazzu.it/personal-branding-podcast

Detto questo, non penso che qualcuno possa essere costretto sotto minaccia a organizzare un corso sul personal branding. Molto probabilmente chi lo fa, lo fa deliberatamente, partendo dal presupposto che il personal branding è di moda e tutto sommato è semplice. Basta parlare di strumenti, no? E perché è di moda? Semplice: perché avere un personal brand ottimizzato funziona, porta dei vantaggi, e molte persone lo hanno capito, e stanno mettendo in pratica questa strategia.

Il problema, però, è che in molti vogliono cavalcare quest’onda, proponendosi dall’oggi al domani come degli esperti in materia. Il più delle volte, però, queste persone non hanno le competenze per farlo, e talvolta – ed è proprio questo il caso che abbiamo visto oggi – non hanno capito nemmeno le basi fondamentali del personal branding.

Sto riflettendo da tempo sulla formazione in ambito Personal Branding e sai cosa ho capito? Per una materia così complessa e trasversale è necessario seguire qualcosa di diverso rispetto ad un semplice corso. Per questo motivo ho inventato un Laboratorio sul Personal Branding. Una cosa che non si era mai vista prima e che è super pratica e concreta. Se ti va guarda qui https://www.alessandromazzu.it/personal-branding-laboratorio e poi dammi un feedback, te ne sarei molto grato.

Purtroppo, nel campo del marketing, questo succede in continuazione: ogni giorno nascono dei guru auto-incoronati pronti a proporsi come insegnanti o consulenti senza avere il necessario tesoretto di competenze. Ed è probabilmente proprio per questo motivo che leggere sui social contenuti di questo tipo mi dà tanta rabbia: perchè per le persone che incappano in questi personaggi è poi facile, persino naturale, fare di tutta l’erba un fascio, arrivando poi alle conclusioni più disparate. Penso a quelli che si convincono che il personal branding è una baggianata, a quelli che deducono che chi parla di personal branding vende aria fritta, e via dicendo. Tutti i veri professionisti vengono seriamente danneggiati in questo modo.

Ma fare personal branding è una cosa seria, efficace, che dà risultati. Ma non in 1 giorno, e nemmeno in una settimana: definire il proprio brand, costruire il proprio pubblico, creare dei contenuti di valore, scegliere i canali giusti, essere coerenti nel tempo. Nulla di tutto questo si può improvvisare. Del resto, questa è una regola generale da seguire sempre, nel campo del marketing come in quello della vita: quando qualcuno ci promette risultati enormi con uno sforzo piccolo, nella maggior parte dei casi qualcosa non torna. Forse abbiamo a che fare semplicemente con una persona che crede di sapere quando in realtà sa troppo poco, o forse ci troviamo davanti a un professionista dall’etica discutibile che sa benissimo di vendere qualcosa che non vale la pena d’essere acquistato.

Ma sto divagando: quello che voglio comunicare oggi, come ho già fatto altre volte in passato, è che il personal branding è sì di moda, ma non per questo è qualcosa di astratto e superfluo. Se affrontato nel modo giusto, lo sviluppo del propio personal brand può fare grandi cose, praticamente per tutti, dal libero professionista al freelance, per arrivare fino al manager o alla persona alla ricerca di lavoro.

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