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Mettiamo di essere al bar, la mattina, davanti a un cappuccio e ad un cornetto. Pensi alla giornata che ti aspetta, pensi ai vari appuntamenti, insomma, ti fai i fatti tuoi. Poi senti una pacca sulla schiena: è il tale, quello che fa sempre lo splendido, che ti saluta nella sua tenuta ginnica e che non aspetta nemmeno il tuo “buongiorno!” per dirti che ha corso 42 chilometri.

Ammazza. Tu devi ancora finire il cappuccino. Tu hai ancora i segni lasciati dal cuscino sulla guancia. Tu ti sei praticamente appena alzato, e questo tizio ha già fatto una maratona. Chapeau, bravo. Non era un’informazione richiesta, ma bravo, sicuramente bravo.

Senonché poi t’arriva la soffiata dal barista, che ti confida che il tipo, lo splendido, in realtà ha corso solamente 3 chilometri. Lo fa la mattina presto da un mesetto, un giorno sì e un giorno no, e oggi è arrivato per l’appunto a 42 chilometri. Totali.

Ti rimetti metaforicamente il cappello, ti rimangi silenziosamente il bravo, e altrettanto silenziosamente mandi a quel paese lo splendido. E che ci vada pure di corsa, 3 chilometri alla volta se preferisce.

Ma perché dare dei numeri a caso omettendo dei dati fondamentali per comprendere davvero quei numeri? Anche perché diciamolo, sono bugie che hanno solitamente le gambe corte. Quando si parla di numeri si parla pur sempre di matematica, ed è dalle elementari che ci dicono che quella non è e non può diventare un’opinione. E di persone che fanno le splendide con i numeri ce ne sono dappertutto, in ogni campo.

E sì, c’è chi lo fa anche nel mondo dei podcast. Si tratta di bugie bianche, anzi, di cose che non sono nemmeno delle vere bugie. Sono delle omissioni volontarie, che però talvolta hanno lo stesso valore negativo di una bugia vera e propria. Pensiamo per esempio a un podcaster vanaglorioso di pura invenzione, giacché non voglio offendere davvero nessuno. Ecco, pensiamo a un podcaster di questo tipo che arriva al bar, sempre nella situazione di prima, con cappuccio e cornetto. Una pacca, un’esclamazione: “ho raggiunto un milione di ascolti!”.

Poffarbacco, 1 milione di ascolti sono tantissimi. Chapeau, bravo, e via dicendo. Senonchè il barista di turno, poco dopo, ti dice che quel milione di ascolti è stato fatto in 1.900 puntate. Oh: un milione di ascolti è pur sempre tanto è. Ma una cosa è fare 1 milione di ascolti con boh, 50 o 200 o 300 episodi. Un’altra cosa è farli con 1.900 puntate. Il risultato è parecchio diverso.

Lo splendido, per una cosa come 5 anni, ha pubblicato 1 episodio dai 2 ai 3 minuti al giorno, collezionando così il suo milione di ascoltatori, centinaio dopo centinaio. Bravo eh, bravo per la grandissima costanza, bravo per aver tenuto duro, bravo perché comunque facendo i conti si potrebbe pensare a circa 500 ascoltatori fissi.

Ma sparare di aver fatto 1 milione di ascolti senza spiegare la situazione anomala di un podcast che va avanti da 5 anni con un episodio al giorno vuol dire omettere parecchio! Insomma, i numeri hanno un significato reale solo quando vengono calati in un contesto. Da soli, sparati a caso, possono voler dire tutto e niente. Sarebbe come entrare nel medesimo bar di cui prima ed esclamare di punto in bianco di aver pagato 1.900 euro di sushi, senza specificare il fatto di aver speso quella cifra in 60 cene diverse.

Nel caso dei podcast, poi, bisogna anche capire quali sono le metriche importanti. Come sappiamo il metodo principale utilizzato per misurare le performance di un podcast è proprio quello costituito dal numero di ascolti complessivi. È così, insomma, che si misura il “successo” di un podcast. Spotify, per esempio, per guardare le performance di un podcast conta uno stream per ogni riproduzione continua di almeno 60 secondi.

Ma sai cosa ci dice questo? Ci dice che un podcast che si rivolge a una nicchia molto piccola, secondo questo modo di vedere, non sarà mai considerato di successo. Pensa al podcaster che si propone come punto di riferimento essenziale per tutti i praticanti di curling in Italia. Bene, nel nostro paese, che pur ha vinto l’oro olimpico in questa disciplina, si contano in tutto 333 praticanti. Ecco, metti che quel podcaster riuscisse a farsi ascoltare da tutti quanti quegli sportivi, e magari anche da qualche allenatore, da qualche sponsor e perfino da qualche appassionato e non praticante, raggiungendo quota 500 ascoltatori fissi, un episodio ogni settimana. Il successo sarebbe grandioso, perfino oltre le più rosee aspettative, ma contando gli stream senza guardare al contesto si potrebbe pensare a un podcast dai risultati deludenti.

Ecco che allora, nel valutare il successo di un podcast, bisogna ragionare su parecchi dati. Certo, il numero degli ascolti. Ma anche il numero degli episodi, per non rischiare di fare gli splendidi senza avere le basi per farlo; e anche, per l’appunto, la grandezza della propria audience. Alcuni podcaster si rivolgono a un pubblico praticamente infinito. Pensiamo a un podcaster che si rivolge a tutti i maschi italiani di età compresa tra i 25 e i 59 anni: ce ne sono in tutto 14 milioni, e raggiungere numeri alti di ascolti non sarà quindi impossibile. Altri podcaster si rivolgono invece a pubblici ristrettissimi, che non permetteranno mai di entrare nelle classifiche di Spotify e compagnia bella, pur potendo vantare un pubblico fedelissimo, che non si perde nemmeno un episodio.

Una metrica molto più utile da questo punto di vista potrebbe essere quella della retention, che nel mondo dei podcast indica il tempo che gli ascoltatori spendono ascoltando ogni episodio. Avere ascoltatori che se ne vanno sistematicamente dopo 2 minuti in episodi che durano 20 minuti non è un buon segno.

Anche perché, diciamolo, rincorrere il numero di ascolti senza pensare alle altre metriche potrebbe portare alla creazione di veri e propri mostri, che per l’appunto decidono di creare un episodio al giorno, lavorando sulla quantità anziché sulla qualità, per aggiungere qualche centinaio di ascolti al proprio computo finale. Ma non sarebbe invece meglio lavorare su un numero ridotto di episodi, per poter creare un prodotto di alta o persino altissima qualità?

Non ci sono dubbi: un episodio di alta qualità una volta alla settimana può fare tanto, tantissimo di più di un episodio di scarsa qualità ogni giorno.

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